Avvenire/Presidente Pisani (CNG): “I Giovani esclusi”

Roma – 9 luglio 2023

Avvenire/Presidente Pisani (CNG): “I Giovani esclusi”

1)    L’Italia punta sui giovani, ma intanto abbiamo ancora 1,7 milioni di Neet e quasi un ragazzo su due tra i 18 e i 34 anni ha almeno un segnale di deprivazione: come si può uscire da questo cortocircuito e fare in modo che i giovani diventino davvero protagonisti?

È necessario creare opportunità favorendo l’occupazione giovanile con sistemi di incentivazione previdenziale e fiscale, per ridurre i costi del lavoro e sostenere l’imprenditorialità. Bisogna creare possibilità però che rispecchino le aspirazioni dei ragazzi, la loro creatività e i loro talenti. È un processo questo che si basa sull’acquisizione di competenze e che passa dal rapporto tra formazione e lavoro, ma soprattutto per la creazione di un Sistema Paese che sia produttivo. Per questo, diventa sempre più importante riorientare parte dei nostri servizi per l’impiego interamente sulla priorità giovanile. Va rafforzato ogni strumento di contrasto alla precarietà mediante incentivi alla stabilizzazione, con l’obiettivo anche di scoraggiare il drammatico ricorso a collaborazioni, prestazioni occasionali o peggio ancora, all’utilizzo di false partite Iva e soprattutto va garantito un miglioramento della Garanzia Giovani.

2)   L’istruzione è uno dei punti deboli del Paese, che investe soltanto il 4% del Pil rispetto al 4,8% della media Ue27: basteranno i fondi in arrivo del Pnrr per riallinearci al resto del Continente? 

Avevamo chiesto al precedente Governo di istituire un apposito pilastro per i giovani, così come avvenuto in altri Paesi, ma questa opportunità non è stata colta. In ogni caso il Pnrr rappresenta un’importante opportunità, ma le risorse devono essere correttamente indirizzate. Per questo la nostra priorità è quella di costruire meccanismi di valutazione dell’impatto, ex ante ed ex post, sulle politiche che riguardano le giovani generazioni. In questi anni l’Italia ha speso pochissimo per l’istruzione, circa il 3,6% del Pil dalla scuola primaria all’università, una quota inferiore alla media Ocse che è del 5% e uno dei livelli più bassi di spesa tra i Paesi aderenti.

3)     «Precarietà e frammentarietà del lavoro scoraggiano i giovani alla partecipazione attiva, politica, sociale e culturale», denuncia l’Istat: quale futuro per chi oggi ha 18 anni?

Secondo i nostri dati, il 69% dei giovani è convinto che in questo momento la politica non lo rappresenti. Tuttavia non bisogna dimenticare che il 68% dei giovani si dichiara interessato a partecipare direttamente alla vita politica del proprio Comune e a dedicare il proprio tempo all’associazionismo e al volontariato. Il loro futuro dipende, oggi più che mai, dalle nostre scelte e dalle strategie che le Istituzioni nazionali sono chiamate a mettere in campo. Perché al di là dell’efficacia delle singole misure emergenziali, non possiamo dimenticare l’esistenza in Italia di una drammatica emergenza giovanile. Pretendere di spostare la discussione nel futuro è un esercizio di rimando che però è destinato, prima o poi, a scontrarsi con la realtà.

4)    Cresce il numero dei diplomati (anche se rimane sotto la media Ue), ma, anche lo scorso anno, l’11,5% ha abbandonato precocemente la scuola: che cosa deve cambiare perché la dispersione rallenti?

Ogni studente ha esigenze e circostanze diverse, ma credo che servano azioni mirate. Mi concentrerei su alcuni aspetti: accesso a supporti adeguati per la salute mentale e il benessere psicologico; ridurre le disuguaglianze attraverso l’assegnazione di risorse economiche specifiche, il supporto finanziario e la promozione dell’inclusione sociale; riforma curricolare per permettere agli studenti di seguire le loro passioni e interessi; riconoscimento dell’educazione non formale.

5)     La «trappola della povertà» passa di padre in figlio e, già a 5 anni, chi è benestante ha un vantaggio di 12 mesi nei livelli di alfabetizzazione: come la scuola può (ri)diventare un vero ascensore sociale?

La scuola è l’ascensore sociale per eccellenza, ma la povertà educativa nel nostro Paese è purtroppo ereditaria e si traduce in primo luogo in una accentuazione delle disuguaglianze sociali. Il problema formativo affonda le radici in nostre debolezze storiche soprattutto al Sud: un’istruzione distante dal mondo del lavoro; uno scarso finanziamento del sistema del diritto allo studio universitario e della ricerca; un modello imprenditoriale ancorato a modelli produttivi poco innovativi e incapace di assorbire nuove competenze.  Eppure la relazione che esiste tra istruzione e lavoro è chiara: le soglie di reddito sono proporzionali al livello di educazione.

6)      Perché, a suo giudizio, le ragazze si affermano negli studi ma fanno ancora tanta fatica nel mondo del lavoro? Che cosa deve cambiare?

Esiste effettivamente una enorme difficoltà per le donne nella conciliazione della vita professionale con la vita familiare. In Italia ci sono circa 3 milioni di donne occupate, poco meno di un terzo del totale con almeno un figlio di età inferiore ai 15 anni. Durante il lockdown le donne con figli hanno lavorato più dei papà. D’altronde non è un caso se, rispetto agli altri Paesi europei, in Italia, il gender gap è a livelli ancora molto alti in diversi ambiti, incidendo significativamente sulla vita quotidiana, la salute, l’educazione, il lavoro, l’accesso alle attività economiche di troppe donne. Ancora oggi, una ragazza su quattro, in Italia, con meno di 30 anni non studia e non lavora. Ancora oggi il 16% delle ragazze meridionali non termina la scuola. Solo la metà delle giovani madri laureate oggi lavora a tempo pieno. Percentuali altissime e la più grande sfida che impedisce di colmare il divario economico di genere è anche la scarsa rappresentanza femminile nei ruoli apicali emergenti.Allo stesso tempo, è necessario un cambiamento culturale per cambiare gli stereotipi di genere che limitano il nostro Paese.

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