È vero, se osserviamo le stime OSCE, meno di tre giovani su dieci in Italia hanno fiducia nelle Istituzioni. La motivazione principale? Secondo i dati dell’indagine sulle famiglie realizzata dall’Istat e analizzata dal Consiglio Nazionale Giovani nel Rapporto “Disuguaglianza intergenerazionale e accesso alle opportunità” (2022), ciò è dovuto principalmente alla mancanza di interesse nei confronti della politica, particolarmente marcata fra i giovanissimi.
Interroghiamoci allora sul ruolo della politica. Da decenni viviamo una fase storica di transizione per quel che riguarda il rapporto tra i giovani e il governo della res publica, strettamente legata alla mancanza di fiducia nella attività politica come capacità di risoluzione dei problemi sociali.
Perché, tuttavia, di questa disaffezione soffrono soprattutto le giovani generazioni? In un tempo sempre più incerto e in continua trasformazione, la politica come strumento di gestione del futuro viene messa in discussione, non è più riconosciuta come luogo di cambiamento e ciò lascia spazio ad altri attori, spezzando così il legame con i giovani.
Parlare di questo solo come una scommessa sul futuro è riduttivo, investire sui giovani non può e non deve essere solo l’idea di consentirgli un traguardo. Quella di oggi è una partita che si fonda sul presente, una pietra miliare per la ricostruzione di un Paese che è già in forte sofferenza, anche di risorse.
E la richiesta di politica, soprattutto tra le nuove generazioni che sono quelle in grado di pensare il cambiamento – in totale sintonia con la propria epoca – è ancora molto forte. È evidente, allora, quanto sia necessario che i sistemi politici si dotino di una struttura solida per gestire le sfide del futuro e rispondere a questo bisogno di politica dei giovani, affondando lì le proprie radici. Solo così tornerà saldo il rapporto tra mondo giovanile e politica: quando quest’ultima tornerà ad avere senso per le sfide di oggi e tornerà a essere il luogo dove guardare al futuro.
Il primo passo per ricucire questa frattura è credere nella partecipazione come diritto, che possiamo definire tale solo se di tutti. Eppure, il primo livello di partecipazione alla vita democratica di un Paese, il diritto di voto, verrà negato a tantissime ragazze e ragazzi fuori sede che non potranno – per svariati e comprensibili motivi – tornare a casa e votare. Ecco, dunque, che prima di legare l’astensionismo dei giovani alla disaffezione nei confronti della politica e delle istituzioni, dovremmo considerare, invece, la disaffezione della politica nei confronti dei giovani.
Le nuove generazioni, infatti, continuano a essere le grandi escluse dalle campagne elettorali e questo anche perché la popolazione giovanile è in netta minoranza rispetto all’elettorato più anziano che si considera quello più propenso al voto, oltreché con un potere economico maggiore, incidendo con ciò sia sulla scelta dei temi da trattare sia sul contenuto dei programmi.
Ma a noi non basta sentire che i giovani sono il futuro o – come suggeriscono i nuovi slogan della fast politics – il presente. Vogliamo che la politica abbandoni questo approccio giovanilistico, vuoto e indirizzato unitamente all’appuntamento elettorale.
“I giovani sono dentro i sondaggi catalogati in percentuali. I giovani stanno bene, i giovani stanno male. I giovani quali? Quelli più belli? Oppure i giovani quelli brutti? I ricchi, i poveri, i giovani cosa? I giovani che? I giovani tutti!” così cantava Jovanotti nel ‘94. L’errore è proprio considerare i giovani una categoria con le stesse esigenze, le stesse richieste, a cui poter dare una sola risposta, senza riuscire a leggere tutte le differenti domande. Noi giovani non siamo una categoria a sé, né tantomeno siamo tutti uguali! Ed è ora che la politica torni ad occuparsi delle nuove generazioni, che chiedono risposte concrete e la certezza di poter realizzare i propri progetti, una visione chiara e strategica di un modello di politiche nel quale credere ed identificarsi, recuperando spazi di partecipazione e confronto, che per le nuove generazioni significa non solo prender parte a un processo di apprendimento dove sviluppare nuove conoscenze e competenze, ma soprattutto essere protagonisti nell’elaborazione delle politiche pubbliche in grado di informare il decisore politico sulle esigenze della propria generazione e contribuire, con un rinnovato apporto di idee, al miglioramento del nostro sistema politico e del Paese.
Uscire di casa, oggi, dopo i 34 anni sposta tutto più in avanti, la convivenza, il matrimonio (eventualmente) e la nascita di figli. Non ci siamo però ancora posti il problema che siamo l’ultimo Paese d’Europa per nascite, non facciamo figli, non ci accorgiamo che i giovani stanno sperimentando sulla propria pelle le difficoltà del mercato del lavoro e del precariato, che vedono tagliarsi posizioni, penalizzare retribuzioni e diminuire stabilità. Una stabilità in cui gli abbiamo insegnato a credere e che adesso esigiamo che sia per loro una eventualità.
Abbiamo, allora, bisogno di una strategia, di ascoltare e di capire quali sono le reali esigenze di chi nel futuro farà la differenza. La Brexit ne è stato un incredibile esempio, perché ha mostrato quanto i giovani siano spesso vittime della propria inferiorità numerica. Dovremmo allora iniziare a ragionare in maniera ampia, estesa, capillare. La felicità sembra probabilmente un’utopia molto banale da raccontare, eppure è in questo Paese, l’unica via che abbiamo a disposizione.
Proprio in questo clima di insofferenza sociale, accentuato anche dalla grave situazione nazionale e internazionale in cui ci ritroviamo, negli ultimi giorni, e in vista delle prossime elezioni, moltissimi giovani hanno condiviso richieste e idee da indirizzare a tutta la classe politica. Istanze che il Consiglio Nazionale dei Giovani accoglie da tempo, indagando le condizioni di vita degli under 35 e avanzando proposte elaborate insieme ad una rete di associazioni giovanili che si fa portatrice dei differenti bisogni di un’intera generazione.
Per questo motivo sappiamo che è necessario, innanzitutto, riorganizzare l’offerta formativa per affrontare il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, guardando alle nuove professioni anche tramite il coinvolgimento di enti privati e in sinergia con le imprese locali, riconoscendo inoltre le competenze acquisite attraverso l’educazione non formale e informale. Sappiamo, altresì, che sarà cruciale migliorare i sistemi di servizi per l’impiego e guidare i giovani verso il riconoscimento delle proprie competenze e mettere in campo strumenti, anche finanziari, che sostengano l’autoimpiego e l’imprenditoria giovanile e che conducano le nuove generazioni verso una vita autonoma ed economicamente indipendente.
I giovani sanno da tempo cosa domandare. Ora, la politica e le istituzioni hanno un’occasione unica: quella di tornare a essere il luogo del cambiamento e dell’amministrazione del futuro, fornendo risposte alle nuove generazioni, coinvolgendole nelle scelte decisionali e restituendo la giusta centralità alle politiche giovanili perché, come ci ha ricordato il presidente Mattarella, “la democrazia è una conquista di popolo che va rigenerata ogni giorno coinvolgendo i giovani”
Maria Cristina Pisani
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